Eccomi ritornata da un’altra settimana a Cagliari. Come al solito, in questi pochi giorni, sono successe un sacco di cose, ma adesso ho il bisogno (se non l’urgenza per paura di dimenticare qualche particolare) di raccontare il sogno che ho fatto stanotte.
Allora, quando vado in facoltà, passo sempre davanti a un piccolo laboratorio artistico. Ecco, ho sognato che ci entravo insieme alla mia famiglia. Dentro c’era il proprietario che, come vedo sempre, sta lavorando al tavolo. Allora per non disturbarlo mi guardo in giro senza neanche salutare o far avvertire in qualche modo la mia presenza. A un certo punto il laboratorio, non si sa come, è più grande, è pieno di scaffali con merce in vendita, soprattutto riproduzioni microscopiche di topolini. Io voglio, desidero comprare qualcosa, ma ho paura che sarebbe uno spreco di soldi comprare qualcosa di piccolo, ma le cose più grandi, come le statue, erano troppo costose. All’improvviso sbuca fuori da uno scaffale un uomo, che poi riconosco essere l’assistente dell’artista (nei sogni le cose si sanno a priori, perchè non ho mai visto quell’uomo). Questo forse aveva capito il mio dilemma, allora mi dice che loro vendono anche la pizza. Lì mi sono illuminata, perchè avevo appena scoperto di avere fame, e in più avrei speso soldi in quel laboratorio. Ordina mia mamma che è apparsa d’improvviso accanto a me, quindi chiede tre margherite e per me una rossa (non mi piace il formaggio, non solo nel sogno, ma anche nella realtà). L’uomo dice che le tre margherite sono già pronte, ma per la rossa ci sarà da aspettare, perchè la deve ancora infornare. Io, curiosa di vedere un forno in un laboratorio artistico, lo seguo senza farmi vedere. Quindi lo vedo mettere il sugo sopra la pasta, e, prima di infornare la teglia, vedo che si muove verso quello che doveva essere il forno. C’era un’apertura classica da forno a legna, ma molto molto più grande, poi, dopo essermi sporta un pò di più ho visto. Ho visto una salita ripida piena di cenere, al cui vertice si trovava un camino, un camino che sarà stato alto più o meno dieci metri, con fiamme che ne raggiungevano la cima. L’uomo dopo essersi diretto verso il forno, ha incominciato a maneggiare con delle cose che sembravano spuntoni, e che sembrava servissero a spostare qualcosa. Ed è allora che ho visto la morta. Davanti a lui c’era una teglia grande cinque volte più del normale, e dentro c’era una donna. Morta. Doveva essere una specie di mummia, ma al posto delle bende, aveva una coperta avvolta attorno a sè, che copriva tutto, tranne che il volto. Da questo punto parte nella mia testa una musica stile film horror (ma anche senza andare troppo lontano, se non ricordo male la musica doveva essere quella che si sente ne La Bella Addormentata nel Bosco della Disney, quando lei va a pungersi nel fuso). Comunque adesso l’uomo mi vede, e mi dice: Adesso sai con cosa sono fatte le pizze. E capisco che la morta sarebbe stata destinata agli stomaci di altri clienti ignari. Dopo averlo pensato, vedo la morta che si alza, cioè non lei, ma il suo spirito. Prende la sua coperta e la mette sopra la mia pizza. So (nei sogni le cose si sanno a priori) che era una sua amica, e mi dispiace. Ora c’è un pezzo che non ricordo più, e quel che mi ricordo ancora ci riporta dall’artista. Non mi ricordo come e perchè (ma l’avevo sognato, quindi un motivo c’era per forza), ma l’artista si stava trasformando in un maiale, e, nel sogno, i maiali camminano sui tetti (stile spiderpork). A questo punto non vedevo la realtà, ma un’illustrazione, come quelle di Dave Mckean in Coraline, sì erano proprio simili. Quindi nell’illustrazione c’era l’artista-maiale sul tetto, con vicino un lampadario, e a un certo punto arriva un bambino. Dice rivolto all’artista (è come se io non ci fossi, ma stessi guardando la scena dall’esterno): Questo non l’avevi calcolato, nella vita c’è la felicità e il dolore. E l’artista risponde: Sì, questo non l’avevo calcolato. E io penso che era questo quello che voleva dire Gaiman quando diceva: C’è il trucco, è facile. Crepi o ce la fai. Poi… poi è squillato il telefono in casa e mi sono svegliata.
Non so perchè ho tutta questa necessità di scrivere il sogno da qualche parte. So solo che non voglio dimenticare il volto della morta, e che non dimenticherò mai le parole del bambino. Mi chiedo se anch’io non ho mai calcolato una cosa del genere. Nell’arco di una giornata ci succedono tante cose, ci sono momenti di felicità, e altri di dolore. Ma sino a che punto capiamo che fanno parte della vita? Vediamo i momenti di felicità come eccezioni meravigliose alla vita di tutti i giorni, il contrario vale per il dolore. Questi momenti non fanno parte della nostra vita, ma sono delle sorte di eccezioni appunto, come delle pause, che, come il tasto still del videoregistratore, non potranno durare a lungo, nel bene e nel male. La frase di Gaiman nel sogno voleva probabilmente dir questo: che se capiamo che questi momenti fanno parte della vita ce la faremo, altrimenti rimarremmo “incastrati” nella speranza di “pause” di felicità, oppure nella speranza che la “pausa” di dolore stia finendo. Questo non è vivere. Quindi, sì, questo non l’avevo calcolato, nella vita c’è la felicità e il dolore.
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